Siena, data la sua posizione collinare e la mancanza di importanti corsi d’acqua, ha sempre dovuto ricorrere a scelte alternative per l’approvvigionamento di un bene primario come l’acqua.
Il sottosuolo di Siena, formatosi 5 milioni di anni fa grazie all’alternanza della presenza della battigia marina e della terraferma (avvenuta per ben 8 volte), è costituito da tre strati principali: i conglomerati ciottolosi (formati dai sassi portati a mare da fiumi e torrenti), le arenarie (cioè sabbia compattata che erroneamente viene chiamata tufo), entrambe permeabili all’acqua, e le argille, impermeabili. Questa alternanza di rocce permeabili e impermeabili ha fatto sì che parte delle acque piovani fossero trattenute e ha permesso di scavare un ingegnoso sistema di cunicoli, i “bottini” (il termine “buctinus“, probabilmente per la volta a “botte”, appare per la prima volta in un documento del 1226), dove l’acqua piovana viene intercettata e scorre nel “gorello” (un piccolo canale alla base del camminamento) fino a raggiungere le fonti con una rete complessiva lunga circa 25 Km.
I bottini vengono definiti “acquedotti”; è una definizione non del tutto corretta, in quanto il termine acquedotto presuppone che esista una sorgente e un luogo di utilizzo. Nei nostri cunicoli, invece, mancando vere e proprie sorgenti, si somma la funzione di trasporto a quella di intercetto, raccogliendo l’acqua piovana di stillicidio dalle pareti e dalle volte e convogliandola nel gorello.
Esistono due bottini “Maestri”, così definiti perchè riescono a convogliare l’acqua a più fonti e addirittura ad utenze private: il bottino maestro di Fontebranda e quello di Fonte Gaia. Altre fonti invece hanno bottini di alimentazione propri, che in genere sono di breve percorso. Fa parte di questa tipologia il bottino della fonte di Fontanella che è il più antico e che risale al periodo etrusco. È anche l’unico con la volta a “capanna” e non a “botte”.
Esiste a Roma la base di una statua con una iscrizione, datata 394 d.c., con la quale i senesi ringraziano un patrizio romano (anonimo) per aver restaurato “i moltissimi condotti” e aver ridato acqua alla città. Ed è legittimo pensare che questi condotti null’altro fossero che bottini che nel IV secolo avevano necessità di restauro. Molti studiosi sono concordi nel sostenere che nel periodo della Saena Julia già funzionavano alcune delle fonti che oggi conosciamo, oltre alla già citata Fontanella, quali Fontebranda, Follonica e la Fonte della Vetrice oggi scomparsa. Fra questi, non ultimo, Fabio Bargagli Petrucci nella sua famosa opera su Fonti e Bottini del 1906.
Il bottino maestro di Fontebranda inizia da Fontebecci e dal ramo di Chiarenna (zona nord di Siena) e porta l’acqua a Fontebranda scorrendo a profondità notevoli.
Il bottino Maestro di Fonte Gaia ha il percorso più lungo dell’intera rete di cunicoli e la sua costruzione iniziò nel 1334 per riuscire a portare l’acqua in piazza del Campo che si trova 30 metri di quota più in alto di Fontebranda.
L’acqua arrivò in piazza nove anni dopo, nel 1343, quando il bottino arrivò alla Cura di Santa Petronilla, all’incirca a metà dell’attuale viale Cavour. Ma i lavori proseguirono e tre anni dopo, nel 1346 il bottino arrivò a Fontebecci da dove ancor oggi arriva circa il 70% dell’acqua della fonte. Questo bottino serve anche per alimentare altre fonti quali la Fonte della Sapienza, la Fonte di San Francesco e il Fontino di Provenzano e col trabocco di Fonte Gaia, anche altre fonti poste ad altitudini minori (Casato, Pantaneto, S. Maurizio, Pispini ed altre). Inoltre durante il suo percorso all’interno della città riesce ad alimentare pozzi privati, spesso di famiglie nobili e facoltose, che a proprie spese scavavano dei cunicoli che intercettavano il bottino maestro. Al Comune dovevano pagare una tassa in base alla quantità di acqua che prelevavano utilizzando come unità di misura il “dado” che corrispondeva a 400 litri ogni 24 ore; l’ingresso del pozzo era sbarrato con una paratoia che aveva un foro di dimensioni ben precise (potevano avere ½ dado, 1 dado, 2 dadi e così via)
Il bottino di Fontebranda è stato scavato partendo dal livello della fonte e risalendo nel fianco della collina alla ricerca dello stillicidio di acqua. Questo sistema era piuttosto lento e nella costruzione di quello di Fonte Gaia venne usato il sistema di attacco su due lati, cioè partendo sia dal lato fonte sia dal lato a monte cercando di congiungersi al centro (come viene fatto oggi nello scavo di gallerie). La difficoltà era di mantenere pendenza e direzione; per questo venivano creati dei pozzi o “smiragli ” che consentivano di controllare la direzione, ma anche di allontanare il materiale di scavo, aerare il cunicolo e far giungere agli scavatori i generi di sussistenza. Gli antichi scavatori, chiamati “guerchi” erano spesso dei minatori di grandi capacità che sbagliavano solo di pochi metri l’incontro fra le due gallerie. Per mantenere la pendenza usavano “l’archipendolo”, uno strumento molto semplice ma efficace per mantenere costante la pendenza del gorello.
L’acqua dei bottini e delle fonti ha dissetato i senesi fino a metà degli anni 20 del ‘900 quando, a seguito dell’estensione della rete idrica dell’acquedotto moderno, ne fu decretata la non potabilità.
Ma quando nel 1944, durante il passaggio del fronte, le truppe tedesche in ritirata minarono il ponte sul fiume Orcia dove passavano anche i tubi dell’acquedotto e a Siena non arrivò più l’acqua i senesi poterono andare ad approvvigionarsi alle fonti.
Perché da secoli i bottini continuano a fare il loro lavoro e portano ancora oggi acqua nelle vasche delle storiche fonti senesi.